Soundwall says: Disco Edits: una storia bella (e controversa)

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Da anni ormai si sente sempre più parlare del ritorno dei vinili e dell’importanza del supporto fisico nella musica. Ma c’è un altro fenomeno, o meglio sotto-fenomeno, che in qualche modo è anche legato al supporto del vinile, ed è quello del ritorno dei Disco Edits. Questa forma artistica, controversa sin dalla sua nascita negli anni ’70, sta vivendo una rinascita a partire dagli anni 2000, fino a diventare un genere a sé stante. Bandcamp, Juno e Phonica sono solo alcuni degli store che hanno visto una crescente popolarità di questo genere. Abbiamo pensato che fosse il momento giusto per fare un piccolo recap. I Disco Edits nascono quando Tom Moulton, Walter Gibbons, François Kevorkian, Danny Krivit e altri pionieri newyorkesi iniziano a sperimentare con i nastri, al fine di estendere la durata dei dischi soul e funk dell’epoca, creando così brani più adatti alla pista. Walter Gibbons, ad esempio, era solito allungare i break di alcuni dischi durante i suoi set loopando due copie dello stesso brano, una tecnica che gli permetteva di prolungare a piacimento le parti più percussive. La tecnica era di difficile esecuzione live, motivo per cui decise di registrare alcuni di questi loop e di inciderli su acetato, un supporto meno resistente del classico vinile ma che poteva essere stampato in tirature limitate e utilizzato con i normali giradischi. Con l’avvento dell’hardware digitale negli anni ’80, divenne più facile remixare interamente i brani e gli edit taglia e cuci andarono presto fuori moda. Chissà se nel 2023 DJ Harvey avrebbe scelto lo stesso nome per la sua serie di edits? Anche durante gli anni ‘90, i Disco Edits non ebbero grande rilevanza, se si fa eccezione per alcuni esempi come DJ Harvey. Solo negli anni 2000, grazie anche alla facilità di trovare e distribuire musica attraverso internet, il suono degli edits tornò di moda, spingendosi oltre il semplice taglia e cuci originale. In quegli anni sono arrivati gli edit in stile dub e cosmico del norvegese Todd Terje, quelli più patinati di Dave Lee (fka Joey Negro) e Dimitri From Patris. Avanti veloce fino ad oggi e una ricerca su Bandcamp o SoundCloud rivelerà una grande quantità di Disco Edits, con una varietà pazzesca di stili e di generi, ma che, a guardar bene, mostra comunque un filo conduttore nel canone estetico. Realtà come Toy Tonics e North of Loreto ci hanno costruito parte del loro sound intorno a questa pratica, e si potrebbe obiettare che anche l’album “Floral Shoppe”, pietra miliare del genere Vaporwave, sia in realtà un album di disco edits. Gli edit contemporanei servono soprattutto a rispolverare dischi del passato, meglio se b-side e sconosciuti, a renderli quantizzati, quindi più facili da mixare, e più club-friendly: tralasciando gli esempi più scialbi, spesso è soprattutto nella sezione ritmica, basso incluso, dove si concentra la maggior parte degli aggiustamenti. Anche la scena Italiana è attiva e dice la sua, con una produzione di edit particolarmente florida, vedi le varie serie dedicate al “riaggiustamento” spuntate negli ultimi anni, come le serie “Caffè Corretto” di BPlan & Fab_o, i misteriosi “Belpaese”, la “Anything Goes” di Rollover Milano e la neonata “Manzo Edits”, per citarne alcune. La pratica del riediting musicale, sebbene controversa fin dalle sue origini, continua ad essere molto popolare nella cultura musicale contemporanea. Gli editor spesso si appropriano di sample audio coperti da copyright, senza richiederne i diritti, e pubblicano le tracce solo su disco white label a tiratura super limitata, mantenendo un certo grado di mistero ma anche azzerando nella pratica i profitti. Su Discogs e sui vari forum specializzati è solito imbattersi in invettive di utenti che accusano gli editor di appropriarsi di lavoro altrui usando il proprio nome, soprattutto quando le alterazioni al disco originale non sono particolarmente evidenti (aprendo forse alla possibilità di giustificare un edit illegale basandosi sul numero di modifiche fatte?). Dall’altro lato, i produttori dietro a questi disco edits lamentano la complessità di ottenere i diritti per poter metter mano agli originali. Il discorso cambia quando gli edit iniziano a scalare le classifiche e a uscire dal sottobosco underground, a quel punto diventa difficile rimanere sotto i radar. È per questo che molti artisti, soprattutto pop o comunque di un certo calibro commerciale, adottano la soluzione dell’interpolazione, ovvero risuonare direttamente il sample, di modo da dover chiedere permessi solo a chi il pezzo l’ha composto e non a chi detiene i diritti del master, come “Afraid to Feel” di LF System che campiona, o meglio interpola, il pezzo “I Can’t Stop (Turning You On)” dei Silk. Dove tracciare la linea morale e legale del giusto o sbagliato nella produzione artistica è un tema ancora molto dibattuto e divisivo, ancor di più dopo l’avvento di strumenti come Chat GPT, Stable Diffusion e simili. Qualunque sia la propria posizione nel dibattito, rimane comunque incredibile che, a circa cinquant’anni dalla sua nascita, la Disco music continui ad esercitare un’influenza così significativa sulla cultura musicale contemporanea, e resta da vedere se ciò rappresenti il giusto tributo a un movimento culturale che ha segnato la storia o il segno di una scena musicale moderna guasta. Ai posteri l’ardua sentenza.

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